Intervista a Carlotta Salerno, Presidente della Circoscrizione 6
Cercare di guardare il mondo da una prospettiva differente, ogni giorno: è questo uno dei capisaldi del progetto We Care Incet, che dalla sua nascita ad oggi ha dato vita a numerose sinergie e opportunità di inclusione lavorativa, coinvolgendo anche le figure istituzionali del territorio.
La maggior parte delle aziende che fanno parte dell’ATI hanno sede nel quartiere di Barriera di Milano e molte attività legate al progetto ruotano intorno a Incet, l’Innovation Center Torino. Per questo abbiamo pensato di confrontarci sui temi, sulle visioni e sugli obiettivi del progetto con Carlotta Salerno, presidente della Circoscrizione 6, di cui fa parte Barriera. Laura Cosa, Project Coordinator di We Care Incet, ha avuto il piacere di incontrarla in video call e di rivolgerle qualche domanda.
La circoscrizione ha sostenuto We Care Incet fin dall'inizio, attraverso la firma di un accordo di partnership volto alla divulgazione a livello territoriale delle attività e dei risultati. Qual è stata la motivazione che vi ha spinto ad aderire al progetto come circoscrizione?
Il tema del lavoro e le questioni connesse, i tempi, i modi, le opportunità e l'inclusione sono tutte tematiche che caratterizzano la Circoscrizione 6. Purtroppo, negli ultimi anni, la caratterizzano anche in negativo, perché c'è una forte necessità di lavoro e il Covid l'ha messa ancora di più in luce. Nella Circoscrizione 6 sono prepotenti l'economia sommersa, il lavoro precario e in nero: tutto ciò non permette alle persone di resistere a lungo in momenti difficili, come quello che stiamo vivendo a causa della pandemia.
We Care Incet è interessante perché si connota sugli argomenti di lavoro in modo positivo e non banale. Non si parla di lavoro tout court, ma si trova uno spazio anche per le persone che sono in una condizione lavorativa differente o hanno necessità di lavorare con modalità diverse.
La Circoscrizione 6 dovrebbe riuscire a diventare una circoscrizione per giovani adulti: soltanto in questo modo sarà possibile modificare endemicamente il nostro territorio. C'è bisogno di giovani che scelgano il nostro territorio per stabilirsi qui e per far crescere i propri figli: soltanto con l'innesco di questo circolo virtuoso si riesce a cambiare un tessuto sociale che fa fatica.
Uno degli intenti del progetto We Care Incet è focalizzarsi sugli aspetti più innovativi del mondo del lavoro, come lo smart working. Le aziende dell'ATI stanno firmando accordi per mantenerlo in via permanente: lei come lo valuta?
Credo sia sempre complesso riuscire a creare un equilibrio capace di coinvolgere i nuovi processi di progresso che si innescano, senza pretendere però che questi siano automatici per tutti i lavoratori. Allo stesso tempo, bisogna prestare attenzione a mantenere un equilibrio anche tra la produttività e la vita delle persone: lo smart working è una risorsa che per molti lavoratori può risultare alienante. Spero che non si faccia l'errore che si è già fatto in passato, cioè abbracciare ogni novità in modo assoluto. Ricordo quando negli Usa si iniziò ad utilizzare gli open space: noi ci siamo arrivati con 10-15 anni di ritardo, quando in realtà già all'estero si stavano già capendo i difetti dello stress correlato a questo tipo di soluzione. Non vorrei che capitasse lo stesso con lo smart working. In Circoscrizione, la maggior parte dei dipendenti afferma che è più equilibrato non lavorare esclusivamente da remoto. I momenti in presenza di confronto e di dialogo non possono venir meno. Io vengo dal mondo della politica ed è impossibile svolgere tutto online, perché non c’è il dialogo de visu e questa è una perdita immane. Ci deve essere elasticità e bisogna calare lo smart working in base alle esigenze della singola mansione e del lavoratore. Ritengo che spesso le nostre aziende siano un po' impreparate su questo argomento e andrebbero aiutate e accompagnate in queste scelte.
Come fondatrice di uno spazio di coworking sono d'accordo, rimane fondamentale avere dei momenti di aggregazione e confronto. I coworking stessi non avrebbero senso di esistere se non si creano momenti di coinvolgimento per la community in presenza. È auspicabile andare verso una situazione ibrida, dove si applicano entrambe le modalità di lavoro e che rimanga la possibilità di usufruire per scelta del dipendente dello smart working, per chi ne ha bisogno, grazie ad accordi interni alle aziende.
In moltissimi casi le aziende hanno un preconcetto negativo verso lo smart working. Vi racconto la mia personale esperienza in Circoscrizione, in cui l'età media è alta: perdo circa 5-6 persone all'anno per pensionamenti. Quasi tutti i lavoratori sono alla soglia della pensione e nel giro di due anni saranno più che dimezzati: rispetto allo smart working quindi c'è difficoltà. Mi è capitato di chiamare persone che stavano lavorando da casa senza avere però tutti gli strumenti. Altri, invece, sono riusciti a mettersi in gioco, sono riusciti a crearsi una nuova dimensione di grande efficienza lavorativa mettendosi al servizio dei colleghi per aiutarli. Per una parte di dipendenti della Pubblica Amministrazione lo smart working non è lo strumento adatto per molte ragioni diverse, ma se si decidesse di portare avanti una dimensione spuria si potrebbe trovare una soluzione, anche se noi abbiamo anche tanti compiti tecnici, di sopralluogo e verifica sul territorio che non si possono fare in smart working e questa è una parte importante delle competenze.
Il progetto We Care Incet ha un altro grande filone tematico che è quello dell’inclusione e dell'inserimento lavorativo delle persone con disabilità. Ci terrei ad affrontare con lei questo tema: immagino che nel territorio di cui stiamo parlando la diversità sia un elemento molto caratterizzante.
La circoscrizione ha una serie di attività storiche rivolte alla disabilità, con vari approcci, da quello sociale e di sostegno alla salute, allo svago, a tutto ciò che invece è più afferente la sfera dell'inclusione e del dialogo con il territorio per l'integrazione. Inoltre, nascerà in una ex scuola ormai abbandonata, nel quartiere Villaretto, un centro dedicato all'autismo con la comunità del "Dopo di noi". È un borgo abbastanza staccato dal traffico, immerso nel verde e si presta molto bene ad una dimensione di accoglienza e di interazione. Negli ultimi anni non abbiamo avuto progettualità specifiche inerenti disabilità e lavoro: avendo pochissime risorse e dovendo scegliere quindi un filone di intervento abbiamo lavorato sui giovani e sulla possibilità di inserire i giovani nell'artigianato. Abbiamo puntato sullo sviluppo di un artigianato 4.0, perché il territorio ci ha sollecitato su questo tema: in circoscrizione abbiamo infatti le scuole tecniche e professionali San Carlo e Rebaudengo.
Quello del quartiere Villaretto è un progetto molto interessante da monitorare anche in ottica di sinergie future. Noi all'interno dell'ATI abbiamo un partner che è specializzato in questo tipo di tematiche, Abile Job, un'agenzia di lavoro dedicata alle categorie protette e alle persone con disabilità. Il loro lavoro è molto importante perché fanno incontrare le aziende e le persone valorizzandone le competenze e poi seguono il lavoratore per tutto l'inserimento. In quest'ottica loro fanno anche formazione ai team di lavoro: un’attività che abbiamo previsto anche all'interno di We Care Incet.
Io avevo seguito il lavoro che si è fatto in Regione con l'Associazione Italiana Dislessia, una disabilità ancora a parte. Avevamo aiutato le aziende a valorizzare il lavoratore dislessico e a non destinarlo in automatico, sbagliando, ad attività manuali: con i giusti strumenti, infatti, si può riuscire a valorizzare il lavoro della persona dislessica, si possono utilizzare strumenti di supporto e si può dare, di conseguenza, valore all'azienda. Nella nostra tradizione italiana c'è poca attenzione alle risorse umane in senso generale: c'è maggiore necessità di un'assunzione calata nella realtà, di tempi di lavoro non basati solo sull’efficienza. Sono tutti elementi che, se seguiti con un relativo dispendio di soldi e con utilizzo di risorse non esagerate, possono dare grandi ritorni anche economici alle aziende, che però in questo dovrebbero essere formate e supportate, non è tutto immediatamente intellegibile.
Per finire le chiederei se ci sono iniziative con cui vede potenziali sinergie. L'obiettivo di We Care Incet è dare vita a collaborazioni e scambi di valore, anche verso altre aziende, per avvicinarle a questi temi. In ottica di continuare a lavorare su queste attività anche dopo la fine del progetto, le è venuta in mentre qualche possibile collaborazione che si potrebbe esplorare per valorizzare e aumentare l'impatto di We Care Incet?
Sarebbe interessante sentire le scuole professionali di cui parlavo prima, le scuole Tecniche San Carlo e l'istituto professionale Rebaudengo. Loro propongono diverse iniziative per la disabilità a livello di formazione. Poi sul fronte più professionale abbiamo il Birago e il Beccari, altre due scuole che negli anni hanno fatto un lavoro specifico in questo senso.