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"Impariamo a disimparare": come le imprese si approcciano al cambiamento. Intervista con l'Innovation Manager Edoardo Landi

"Impariamo a disimparare": come le imprese si approcciano al cambiamento. Intervista con l'Innovation Manager Edoardo Landi

"Impariamo a disimparare": un'espressione che può far sorridere ma che nasconde un'importante verità. Disimparare significa mettersi in gioco, distaccarsi dalle abitudini e dai concetti già acquisiti per lasciare spazio al nuovo. Perché le idee invecchiano e con loro anche strumenti e metodologie, che hanno bisogno di aggiornarsi rispetto ai tempi e alle esigenze. "Imparare a disimparare": per avere la capacità di aprirsi al dialogo, a nuove conoscenze ed essere pronti a mettere da parte tutti quei vecchi processi che rappresentano un ostacolo al cambiamento. Come stanno reagendo le aziende a questa necessità? Abbiamo incontrato Edoardo Landi, consulente nell'ambito della digitalizzazione dei processi aziendali e partner del progetto We Care Incet, per farci raccontare quali sono i timori e le difficoltà incontrate dalle imprese che si apprestano ad affrontare la sfida più grande: quella dell'innovazione.


Che cosa stai facendo operativamente per le aziende di WCI?
Per il progetto WCI mi sono interfacciato con 3 aziende per alcuni interventi di digitalizzazione: aziende molto diverse fra loro. In realtà nel progetto vero e proprio ne sto seguendo solo 2 perché la terza ha svolto l’intervento al di fuori del bando per questioni tecniche. A seconda delle aziende e delle necessità propongo quindi di introdurre strumenti differenti. Operativamente effettuo sempre una fase di assessment per comprendere le esigenze del cliente, che poi supporto nella fase di design dei servizi, eventualmente anche aiutando a svolgere la software selection. Segue poi una fase implementativa con la configurazione del servizio/tool e di training e coaching per la formazione utenti. Questo processo può essere più o meno strutturato, a seconda della complessità da affrontare. Nel percorso cerco sempre di fornire alcuni tips generali, anche con riferimento al DigComp 2.1, il framework Europeo per le digital soft skill, riguardo ad esempio al problem solving o alla gestione delle password. Il mio obiettivo è sempre quello di eliminare le operazioni a basso valore aggiunto e di fornire strumenti e dati che possano essere di supporto alla strategia aziendale.


Qual è il livello di digitalizzazione delle aziende con cui ti confronti?
Cambia molto da cliente a cliente, a volte mi ritrovo in ambienti molto tradizionali, con persone che magari lavorano con la stessa metodologia e gli stessi strumenti da 20 anni, a volte sono invece startup in crescita rapida, con un alto livello di digitalizzazione, ma che hanno implementato soluzioni software senza una strategia e si ritrovano con molti tool ma privi di integrazioni e con diversi doppioni funzionali.


Quali sono gli ostacoli che incontri verso il cambiamento? Come li aggiri?
Il problema principale è la resistenza al cambiamento, che in genere è più alta in chi ha lavorato nello stesso posto e nello stesso modo per parecchi anni. Ho uno slogano che ripropongo spesso: “se lavori in questo modo da tanti anni molto probabilmente oggi esiste un modo migliore per fare le stesse cose”. L’approccio culturale è alla base di tutto, ormai dobbiamo rassegnarci che il cambiamento non è una scelta e che siamo destinati a doverci aggiornare nelle nostre competenze come a nessuna generazione precedente era capitato. Cerco sempre di responsabilizzare le persone verso questi temi, a volte eseguo affiancamenti specifici e dove c’è l’opportunità individuo una persona in azienda che possa fornire supporto ai proprio colleghi. Quando però un team si mette in marcia, chi rimane più indietro poi cerca di recuperare, bisogna solo dare inizio al movimento.


Quali sono i feedback delle aziende dopo l'implementazione di nuovi strumenti digitali?
In genere molto positivi, eseguo sempre un questionario di gradimento e non ho avuto mai dei feedback negativi. Gli interventi che porto avanti di solito sono ad alto impatto sull’operatività quotidiana e superate le prime difficoltà nessuno è mai tornato indietro. In una azienda la responsabile delle operation mi ha confessato che all’inizio del progetto, quando ho proposto le soluzioni che ritenevo opportune, ha pensato fossi un folle, che quell’azienda, che come tutte si sentiva speciale, non avrebbe mai potuto lavorare in un modo differente da quello a cui erano abituati. A distanza di un paio di anni non riusciva a capacitarsi di come potessero gestire i loro progetti con i vecchi strumenti.

 

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Il progetto (“We care Incet”) è co-finanziato con il POR (FSE o FESR) 2014-2020 e realizzato da Regione Piemonte

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